martedì 11 aprile 2017

ULTIMA LEZIONE DELL’UNITRE SUI POETI ITALIANI DEL ‘900: CAMILLO SBARBARO, IL “FANCIULLO COERENTE”

Si è tenuta il giorno 7 aprile, nella sala degli specchi del Comune di Sanremo, la sesta ed ultima lezione sui poeti italiani del 900’ a cura del professor Fabio Barricalla.
La conferenza ha trattato i temi e i diversi periodi letterari di Camillo Sbarbaro, poeta ligure, considerato uno dei più grandi autori capace di ritrarre la Riviera sul piano nazionale.
Rimasto orfano di madre da bambino e di padre da ragazzo, fu cresciuto, insieme alla sorella Clelia, dalla zia Maria, da loro rinominata Benedetta.
L’autore, nella sua evoluzione letteraria, ha passato tre diversi periodi differiti per lo stile dei componimenti e la forma poetica.
La prima fase, caratterizzata da una struttura di scrittura in versi, è per lo più riferita al libello “Pianissimo”;
“Nel deserto io guardo con asciutti occhi me stesso.”

Questo è l’ultimo verso della prima poesia che compone la raccolta. Il tema centrale è quello dell’anima sbigottita che, però, non riesce ad essere toccata dal mondo, privo di attrattive.

“La poesia è il trovare l’unico aggettivo che serve nel momento in cui serve”

Con la stesura dei “Truccioli” del 1941 ha inizio il secondo periodo caratterizzato da piccoli poemetti in prosa per lo più ambientati a Spotorno dove, nel frattempo, si era trasferito.
L’ultimo periodo, quello dei “Fuochi fatui”, è ancora più minimalista dei precedenti mentre la capacità descrittiva aumenta. Con poche parole Sbarbaro è in grado di spiegare un mondo fatto di inclinature e pieghe, una città di vicoli e mercati, la fanciullezza e la vecchiaia, la vita e la morte.
Come molti suoi coetanei ha partecipato alla prima guerra mondiale ma, per sua fortuna, da sergente e perciò lontano dagli scontri diretti. Di questo periodo conserviamo forse la più bella delle sue poesie e alcune lettere indirizzate ad amici e ad altri poeti come Dino Campana. E’ l’ultimo componimento in versi prima dei “Truccioli” in prosa, “La bambina che va sotto gli alberi”, di grande potenza e in grado di racchiudere tutti i temi affrontati dal poeta, a chiudere l’incontro. La forza delle frasi di Camillo Sbarbaro era la sua straordinaria capacità nella scelta esatta del termine da usare per descrivere una precisa situazione, una dote innata che, come lui soleva ammettere, era una grazia ricevuta.

La bambina che va sotto gli alberi
non ha che il peso della sua treccia,un fil di canto in gola.Canta solae salta per la strada: ché non sache mai bene più grande non avràdi quel po' d'oro vivo per le spalle,di quella gioia in gola. A noi che non abbiamoaltra felicità che di parole,e non l'acceso fiocco e non la moltasperanza che fa grosso a quella il cuore,se non è troppo chiedere, sia toltaprima la vita di quel solo bene.




ANNA MASTRANTUONO, VIOLA BIANCHERI
UFFICIO STAMPA LICEO G.D. CASSINI SANREMO

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